venerdì 24 agosto 2012

D'Amore e Arte (prima dell'Alba)



Si aggrappavano disperatamente a quei rari scampoli di eterno, fusi in un corpo solo, incandescente, famelici di baci e saliva e carne e occhi e bocca e intrecci di gambe e dita. Caotici e impazienti, ad ogni gesto, ad ogni scatto accidentale - del bacino, del viso, di un arto - irradiavano per la stanza i colori dell’arcobaleno, imperlati di fluidi desideri: sulle pareti chiare, i tessuti del letto, sui quadri che li guardavano compiacenti, dentro i loro sguardi persi e profondi come pozzi neri.  

Erano due angeli caduti, in volo estatico nelle spirali di un cielo straniero, dimentichi di un mondo che non li avrebbe mai accolti. Ballavano, vibrando lucenti nel silenzio ovattato di quel cielo straniero, sfiorando stelle dorate e facendole esplodere in frammenti scintillanti, che precipitavano a terra in trilli gioiosi. L'universo si disgregava all’infinito e loro danzavano ancora, sulla punta dei loro sospiri.

Non potevano disperdere alcun istante, ne raccoglievano, con coriacea ostinazione, ogni prezioso brandello, cristallizzandolo nel deposito segreto della memoria.

Lui la plasmava come materia grezza, amorfa e marmorea. Teneramente incideva ogni disturbo, spigolosità, asprezza, ogni impertinente protuberanza. Lei si lasciava creare sotto le sue mani, assaporava il succo agrodolce del piacere che ne scaturiva, si abbandonava a quel brivido inatteso, vibrante in ogni molecola di sé, che congiungeva il suo mondo con le sfere celesti. E mentre  la partoriva in un intimo travaglio di fuoco e tempesta e le sue forme, da sempre prigioniere di strati ingombranti - di credenze, principi e amorevoli ricatti - venivano alla luce, anche lui cambiava, in egual misura, con la medesima ineluttabilità e, incredulo, se ne beava. 

Ella lambiva, come le dolci acque del mare, i suoi dolori, le sue paure, le sue bugie, i suoi tormenti. S’infrangeva balsamica sulle sue coste rocciose, facendosi per lui, soltanto per lui, morbida spuma bianca e lasciandogli in dono le sue conchiglie feconde e frammenti di fulvi coralli.

Materia e scultore si scambiavano vicendevolmente, in un’armoniosa liturgia di spirito e mente, si avvolgevano in vortici profani, diluendosi in un unico organismo di anima e carne. Fino a quando più nessuno, guardandoli alla luce del sole, li avrebbe potuti distinguere.

Intanto l’alba prese a strisciare con l’incedere di un’amara melodia, sebbene addolcita dai loro effluvi vitali e primigeni e, ancora avvinghiati, attesero l’ombra del distacco, avvolti nell’eco di indissolubili promesse.

© 2012 by Maela

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