Parole, lettere come ami, come chiodi per
carpirti con disperata ostinazione e fissarti a me, lungo queste pareti
scrostate di memoria e speranze confuse. Poi le scorro una ad una, anche se
tante volte me ne sfugge il senso. Quante volte l’ho rincorso, morendo poco a
poco ad ogni slancio, frantumandomi contro vetri celati dagli abbagli del sole.
E quante volte mi sono rialzata per riprendere la mia corsa cieca e folle, il
mio volo ubriaco e sbilenco. Ubriaca di questo non-senso che m’annega il cuore.
Tu, che mi scorri in punta di versi, voltando le pagine, a volte strappandole,
altre solo piegandole. Annusandole come si fa con le rose. O con la pelle
morbida dei lattanti. Tu che le leggi, mi leggi e m’interpreti, con la voce
profonda dell’Abisso. Dimmi. Rivela il tuo Oracolo dentro un nuovo bacio. E
lascialo lì, così saporito fra i miei denti e la gola, a rotolare in silenzio,
come una delle mie tante lacrime che non hai succhiato, che ti ho taciuto
perché eri voltato nel tuo dolore sdegnato e sdegnoso. Ma solo per poco. Appena
un po’. Per poi apparire di nuovo al tramonto e farti subito Alba per me,
ancora e ancora. Prima di vedermi schiantare a terra e poi raccogliermi come si
fa con gli uccellini caduti giù dai nidi, sopra rami incerti e piegati. Battuti
dal vento. E quanto mi batte – a me! – questo vento. E sferzando furioso, mi
sgretola pezzo a pezzo. Sei tu che lo hai soffiato spietato. Ma pure, ti prego,
continua ancora a raccogliermi e a conservarmi nelle tue tasche, fra le pieghe delle
tue sciarpe e dei tuoi sorrisi, dei versi che dalla tua pancia srotoli nella
mia, dentro una bottiglia da affidare ai flutti della nostalgia, quando lasci
il mio porto senza destinazione. Di queste lacrime, che cadono a terra a
catinelle, di queste lacrime che si sfaldano al vento, sul mio mento, di queste
lacrime che getto via dagli occhi ma che sempre ritornano - come fanno i cani
abbandonati alla ferocia sanguinaria di una strada - di queste lacrime che
ti chiamano nel loro dignitoso silenzio, come una misericordiosa carezza lungo
il declivio delle tue palpebre pensanti. Di queste lacrime, dico, io vorrei farne
perle preziose e incoronarti Re. E io, tua Regina, dormirei aggrappandomi allo
scoglio del tuo fianco, con la testa
dondolata dalle onde del tuo petto e la gamba dolcemente intrecciata fra i
coralli delle tue. E ti darei tutti i colori che sapresti indossare, perché tu
sei un prisma di luce, che scompone Amore e poi lo proietta ovunque nelle mie
mani, nei miei polmoni e sempre più in fondo, dentro i miei intestini. Amore amore
amore disperatamente amore! Amore che mi prende e che mi stende, mi getta
lontano e mi riprende. Amore senza inizio e senza fine, uroboro che mi succhia sangue e
inchiostro dalle vene. Ed è per ciò che fremo, morendo a poco a
poco, in un’eterna risurrezione.
© 2012 by Maela
© 2012 by Maela
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