Sulle rotondità di un vago languore
stringente, dentro a un altro giro di boa, ho incontrato casualmente le tue
dita. Avanzavano in punta d'inchiostro, in eleganti ghirigori, disinvolti e
cauti. Subito le ho trovate squisite le tue dita. Enigmatiche. Avevano richiami
abissali. Sono di quelle che ti bucano dentro e si fanno un giro impunemente
fra le tue stanze, quelle vuote, quelle piene di ciarpame e cianfrusaglie ma
soprattutto quelle segrete, dove non entri mai neanche tu. Le stanze dove hai ammassato
secoli d’inconsci, di te e del resto del mondo, e hai lasciato le imposte
chiuse, perché neanche un filo di luce potesse rivelarle, ombre su nero,
macchie incrostate di buio. Ecco perché
di quelle dita te ne innamori subito: non disdegnano nulla, loro. Neanche le
cose neglette, quelle infestate di abominio, che si darebbero in pasto al
pubblico ludibrio. Loro invece ci vanno a nozze: impunite, appunto. Hanno
aperto un varco per me, che piangevo solitaria. Solita aria: piangevo una vita
inaridita e spenta, guardando vinta l'agonia di un disamore. E fu così l'alba
di una nuova Primavera. Nella tua campagna ho danzato con quelle dita vibranti,
che sapevano di sole e mare. E ridevo e piangevo e ancora piangevo e ridevo di
malinconica speranza, che aveva preso a piovere su di me in coriandoli dorati.
Eri tu, tu, solo tu, che germogliavi dentro le mie aridità, lungo i bordi dei
miei occhi, dalle mie finestre appannate, nel mio cuore in panne! Tu, che t’intrufolavi
tra i chiaroscuri della mia esistenza e soffiavi via la polvere che la
ricopriva dai tempi antichi! I piccoli semi delle tue parole, lasciati cadere
come briciole da quelle immaginifiche magnifiche dita, furono manna fra le mie
labbra aduste come petali sfioriti. Ero affamata d'amore. Eppure…
Ho provato a scivolar via in silenzio e a
nascondermi negli angoli retti della ragione. Mi son fatta male, urtando contro
gli aspri spigoli dei miei soliloqui, sproloqui, sonniloqui, stoltiloqui,
vaniloqui, ventriloqui. Eloqui mai, però. Quelli non sono il mio forte ma il
tuo. Comunque. Eppure. Ho provato a scappare, un passo dietro l’altro, orme
sull’ombra, le mie ombre a coprirmi, difendermi, sfumarmi e sformarmi in
contorni stronzi. Via da te, dalle tue dita, dai tuoi occhi che sanno di miele
e cielo e mari in tempesta, che sanno scrutare, frugare, trovare. Via dalle tue rose odorose, dal
tuo ulivo schivo, dai tuoi cani strani. Come te. Eppure. Incocciando contro la
parete delle mie speculazioni, alla fine ho compreso: meglio, molto meglio
lasciare stare e lasciarsi andare. Meglio le tue dita, le tue mani, i tuoi
pollici sui miei occhi, il tuo respiro fra le frange dell'anima. Meglio le
tue costellazioni, le tue intemperie, le tue forme curiose d’Amore. Davvero.
Meglio te. Anzi, meglio te e me. Anzi, meglio ancora... Meglio Noi.
© 2012 by Maela
© 2012 by Maela
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