Ho guardato le fiamme ingorde
come un ego a dismisura,
avvicinandomi rapita in un involucro
di sgomento, a sfiorarmi la pelle.
Volevo accenderla
ancora,
ché ormai era quasi
spenta.
E fu così che cominciai a bruciare,
con tutti i fogli, i pezzi di carta sognante,
le pagine colate di illusioni vibranti.
Per un tempo eterno ho bruciato,
contratta nel dolore spezzato della rovina
che mi danzava intorno beffarda.
Io urtavo i miei perché a vuoto, mentre
mi sfaldavo in sorrisi sempre più spenti
di un Io confuso e stropicciato,
fra cumuli d’inutili indumenti.
Sotto Albe sempre più lancinanti.
Aghi sprezzanti nella patita carne.
Qualcuno mi chiamava.
Lo udivo, fra le alte fiamme.
E d'improvviso, non sapevo più
se quello era il mio nome.
Forse non lo avevo mai saputo.
O forse, non lo avevo mai voluto,
ché solo le illusioni hanno un nome.
Così, ho lasciato cadere i piedi,
le caviglie, le gambe, le braccia.
La pancia, il mento, gli occhi, la fronte.
Ho respirato le profondità della mia esistenza.
La cenere del mio superfluo è sfumata
sullo sfondo di vaghe reminiscenze.
Qualcosa resta, senza bruciare, e
credo smetterò di piangere adesso.
Presto riderò, guardandomi i palmi,
fino a squarciare il cielo in pioggia
e spegnere tutto l'inferno intorno.
Mi scioglierò, con gli occhi in apnea,
dentro una risata bagnata di Nuovo.
Di nuovamente Vero.
Di veramente Vivo.
Davvero.
© 2012 by Maela